Celle chiuse per 20 ore al giorno, ora d’aria sotto il sole cocente, detenuti in rivolta, agenti feriti e un tasso di suicidi in costante crescita. Le carceri italiane stanno esplodendo. E con l’estate alle porte, l’emergenza rischia di trasformarsi in una tragedia a livello nazionale.
La Conferenza dei Garanti dei detenuti si è riunita per presentare un documento urgente al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap). Il contenuto è chiaro: serve un intervento immediato, umano e strutturale.
Le richieste partono da soluzioni pratiche e di buon senso:
Apertura delle celle durante il giorno, per evitare il confinamento in spazi sovraffollati e privi di ventilazione;
Ora d’aria in orari meno proibitivi, dopo le 16 e non più solo dalle 13 alle 15, quando il sole picchia e la temperatura può superare i 45°C;
Sospensione delle circolari che impongono fino a 20 ore di chiusura nelle camere detentive, ormai veri e propri forni di cemento.
Queste misure, apparentemente minime, potrebbero evitare nuovi suicidi, che già nel 2024 hanno raggiunto il numero record di 91 in un solo anno, il dato più tragico degli ultimi trent’anni.
Negli ultimi giorni si sono verificati episodi di tensione estrema in vari istituti: da Terni a Spoleto, da Aosta a Trapani, detenuti e agenti sono rimasti feriti, arredi e celle danneggiati, interi reparti chiusi. La miccia accesa è sempre la stessa: sovraffollamento, caldo insopportabile, assenza di alternative.
La proposta più concreta dei Garanti è quella di un indulto biennale, capace di ridurre di almeno 16.000 unità la popolazione carceraria, riportandola entro i limiti di capienza regolamentare. Un provvedimento rapido, efficace e costituzionalmente legittimo, già adottato in passato.
Qualora l’indulto non fosse politicamente attuabile, si propone una liberazione anticipata speciale, che però — avvertono i Garanti — dovrà evitare preclusioni ideologiche e includere un condono disciplinare per non svuotare di efficacia la misura stessa.
Non meno grave è il totale disatteso rispetto della sentenza della Corte Costituzionale che impone agli istituti penitenziari di attrezzarsi con spazi dedicati ai colloqui affettivi e intimi.
Oggi, solo il carcere di Terni – da cui è scaturita la storica sentenza – risulta aver attivato un minimo di rispetto in questo senso. Tutti gli altri istituti sono inadempienti, e quattro sentenze di sorveglianza che imponevano l’attuazione sono rimaste lettera morta.
Il diritto alla vita affettiva è parte integrante del processo rieducativo, ma oggi non viene garantito in quasi nessun carcere italiano, contribuendo all’isolamento emotivo, al degrado psicologico e, troppo spesso, al gesto estremo.
L’estate è appena iniziata e le carceri italiane sono una bomba pronta a esplodere. Il sistema è al collasso, e le conseguenze — umane, sanitarie, giudiziarie — coinvolgono non solo i detenuti, ma anche il personale penitenziario e l’intero Stato di diritto.
L’Italia è già sotto osservazione da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dopo numerose condanne per violazione dell’articolo 3 della Convenzione (trattamenti inumani e degradanti).
Ora servono fatti. E serve coraggio.
Non si tratta di “buonismo”, ma di legalità costituzionale e dignità umana.
Indulto biennale per riportare i numeri entro la soglia legale
Modifica degli orari e delle condizioni di detenzione estiva
Attuazione immediata delle stanze per colloqui affettivi
Potenziamento dei presidi psicologici e sanitari
È tempo che il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il Parlamento e l’intero Governo si assumano la responsabilità di intervenire.
Le carceri italiane non possono più essere il luogo dell’abbandono e della punizione cieca. È ora di voltare pagina.
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