La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio, sono quattro gli accusati di del sequestro del caso Regeni, la famiglia del ragazzo non si dà pace.
Parliamo della tragedia Regeni, ormai conosciuta e seguita da tutto il mondo. Lo studente italiano torturato e assassinato in Egitto. Era stato rapito il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato senza vita il 3 febbraio nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
Il corpo presentava segni di torture, bruciature di sigarette, era irriconoscibile. Proprio per questo sono scattate le indagini sul carcere. Regeni non sembrerebbe essere l’unica vittima di torture, era una pratica spesso usata all’interno del carcere. Le autorità egiziane avevano inizialmente garantito una “piena collaborazione”, ma così non fu.
Gli investigatori italiani avevano potuto interrogare pochi testimoni per alcuni minuti, le riprese video della stazione della metropolitana dove Regeni era stato visto sono state cancellate e tante altre indagini negate.
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I quattro ufficiali indagati risultavano irreperibili perché la magistratura egiziana non aveva fornito gli indirizzi di residenza, né aveva concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori. Nonostante questi quattro indiziati siano stati iscritti nel registro degli indagati già nel dicembre 2018 e nonostante le richieste dalla Procura di Roma inoltrate già con la rogatoria del 5 maggio 2019.
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La Procura di Roma ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio per i 4 appartenenti ai servizi segreti egiziani: il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Le accuse sono le più svariate: dal sequestro di persona pluriaggravato, al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.
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